Le ruote della fortuna, parte I

In copertina: la 743 375 delle FS in deposito ad Alessandria nel 1975 con in bella mostra il suo rodiggio Consolidation. Foto Archivio ACME.


Di Giuseppe Foglianese

Per oltre un secolo la ferrovia ha avuto un monarca assoluto a regnare sul suo sviluppo: la locomotiva a vapore. Il suo lungo processo evolutivo, scandito dalle sempre maggiori esigenze di trazione su percorsi sempre più ardimentosi, ne aveva trasfigurato il modesto aspetto iniziale da mezzo rudimentale e assai poco tecnologico a capolavoro dell’ingegnosità umana. Lo stigma principale di questa continua mutazione di forma è stato senz’altro il rodiggio, ovvero il numero e la disposizione delle sue ruote. La locomotiva a vapore non poteva avvalersi infatti del moderno ritrovato del cambio di velocità, il rapporto cioè variabile tra il regime del motore e i giri delle ruote, e questo aveva significato il dover cambiarne i diametri a seconda degli sforzi da compiere: a parità di potenza o di cicli degli stantuffi nei cilindri sarebbero servite ruote piccole per grossi sforzi di trazione a scapito della velocità massima, e ruote più grandi per raggiungere invece velocità maggiori a scapito del carico trainato. Il rodiggio, in definitiva, diventa da subito la caratteristica funzionale ed estetica principale delle locomotive, influenzandone pesantemente l’aspetto e definendo l’eventuale eleganza delle sue linee, al punto che, oggi come allora, le distinguiamo principalmente tramite esso.

L’eleganza e l’impressione di veocità trasmessa dalle linee della bavarese S 2/6 è data in gran parte dall’equilibrio della disposizione delle sue ruote. Foto Archivio ACME.

A tale scopo le maggiori macro-culture ferroviarie, ovvero quella americana e quella europea, avevano sviluppato sistemi che, pur diversamente, ne catalogavano i diversi tipi. Il sistema americano, proposto da Frederick Methvan Whyte nel 1900 sulla rivista di settore American Engineer and Railroad Journal, identificava i rodiggi con una sequenza di numeri, separando con un trattino i gruppi di ruote. Non erano indicati gli assi, ma appunto le ruote, dando correttamente per scontato che fossero simmetriche.

La pagina di American Engineer and Railroad Journal che segna la nascita della notazione Whyte. Archivio ACME.

Si aveva pertanto che una locomotiva con un asse di guida e quattro assi accoppiati come la nostra FS Gr. 740 venisse indicata come 2-8-0 e che la Gr. 685 fosse a sua volta una 2-6-2, in quanto munita di un asse di guida, tre assi accoppiati e un ulteriore asse portante. Tutto ciò non cancellando tuttavia la precedente tradizione, sempre americana, che battezzzava i tipi con nomi propri, spesso di origine geografica: tra i più popolari, Consolidation per il rodiggio 2-8-0, Prairie per il 2-6-2 dei quali sopra, oppure Hudson per il 4-6-4 e naturalmente il più celebre di tutti, Pacific per le locomotive 4-6-2. Il metodo Whyte fu da subito assai popolare anche nel Regno Unito, dove è di uso corrente ancora oggi, al netto della scomparsa del vapore dalla ferrovia moderna.

Una Pacific britannica, la 34028 Eddystone della Southern Railways, qui in uscita dalla stazione londinese di Waterloo nel 1963. Costruita nel 1947, subì un radicale ammodernamento nel 1958 per essere ritirata dal servizio solo sei anni più tardi. Foto Neil Harvey-Polyrus.

Nel resto d’Europa si procedette in maniera diversa. In Francia si preferì contare gli assi e non le ruote, pertanto la notazione, pur seguendo lo schema americano, ne riportava le cifre diviso due: il rodiggio Pacific, ad esempio, diventava 2-3-1. Questo è stato il metodo preferito anche in Italia, perlomeno fino all’adozione da parte dell’europea UIC, l’Union internationale des chemins de fer, di un altro sistema, quello tedesco, che si spingeva a descrivere altre importanti caratteristiche tramite uno schema alfanumerico. C’è infatti tanto da poter dire su di una locomotiva a vapore, a partire dalla forma esteriore, ovvero a tender separato o no, per continuare con semplice o doppia espansione del motore, vapore surriscaldato o saturo, numero dei cilindri e ancora altro. Ma facciamo un po’ d’ordine, cominciando dalla nomenclatura. Gli assi di una locomotiva si distinguono in motori e portanti: gli assi motori, va da sé, sono quelli collegati al generatore del moto, i cilindri del vapore nel nostro caso, e accoppiati tra loro da bielle. Quelli portanti sono assi folli e sono ulteriormente divisi in assi anteriori, con funzione di guida, e posteriori, utili a distribuire meglio il peso gravante sulle rotaie. Nonostante la prima locomotiva a vapore, ovvero la Locomotion di Stephenson, fosse già una macchina con due assi motori e dunque accoppiati, sono esistite configurazioni ancora più semplici, con un solo asse di trazione. Uno dei tanti esempi sono state la Austria e la Moravia, le prime locomotive asburgiche, dal rodiggio 2-2-0 secondo la notazione Whyte: asse portante anteriore e asse motore posteriore, o meglio centrale.

La  Carolinenthal della Nördliche Staatsbahn austriaca del 1842, una delle prime sei locomotive in assoluto costruite nel celebre stabilimento di Wiener Neustadt. In evidenza il rodiggio ad asse motore unico. Foto Archivio ACME.

Inutile dire che per ripercorrere e descrivere al lettore tutti i rodiggi da Stephenson in poi occorrerebbe un reggimento di redattori e un paio di terabyte di dati; nel contempo è però anche frustrante per chi cerca di gettare uno sguardo enciclopedico sul sapere ferroviario il doversi limitare a quelli più popolari e importanti. Approfittando della modalità culturale contemporanea del dividere tutto in comode rate, circoscriveremo oggi il tema di questo articolo a una panoramica, ulteriormente riservata alle sole macchine non articolate e con tender separato, che funzionerà da ouverture agli approfondimenti che seguiranno nelle prossime settimane.
I rodiggi delle macchine nell’infanzia della ferrovia prevedevano come accennato al massimo due assi accoppiati, bastevoli per i compiti che si richiedevano allora: traino di piccoli convogli, di peso modestissimo, su linee brevi e questo soprattutto perché il sapere dell’epoca non permetteva di costruire motori di grande potenza. Pur in questa limitazione di ambito, aggiungendosi a seconda delle necessità uno o più assi portanti il panorama dei rodiggi risulta inaspettatamente vario, come rappresentato dalla tabella qui sotto:

Come si può notare, esistevano ed esistono tuttora altri metodi per identificare i rodiggi delle locomotive. Il sistema svizzero prevedeva due cifre separate da una barra, la prima delle quali indicava gli assi motori e la seconda il totale; in Turchia si usava il medesimo criterio, ma con l’abolizione della barra. Non si tratta di sistemi particolarmente efficaci, perché poco dettagliati: dalla tabella si può facilmente vedere come le sigle 2/3 e 23, ovvero due assi accoppiati su di un totale di tre, potevano valere per ben tre tipi di locomotive, diversi tra loro per la disposizione del rodiggio. Si può anche notare come nel sistema tedesco, poi come detto adottato dall’UIC, un apostrofo dopo la cifra degli assi portanti indicava la loro collocazione in un carrello e non di appoggio diretto per il telaio.

La 724 Jubilee della Caledonian Railway, una delle tre battezzate con un nome proprio. In bella evidenza il rodiggio 4-4-0 American o se si preferisce 2-2-0, con le grandi ruote tipiche delle locomotive per treni passeggeri. Foto da Moore’s Monthly Magazine.

Con l’avanzare della tecnologia si poterono costruire boiler di grandi dimensioni per fornire più vapore a motori più potenti, comportando così un maggiore carico assiale che avrebbe messo in severe difficoltà il povero armamento delle linee dell’epoca. Il problema si risolse aumentando il numero degli assi accoppiati per distribuire e dividere il peso, con o senza assi o carrelli portanti. Le configurazioni a tre assi accoppiati hanno generato una sterminata progenie di locomotive, diffuse in tutto il mondo e, nelle diverse declinazioni, adibite a tutti i compiti che in una ferrovia sono richiesti a un mezzo di trazione. Si sono avute macchine a tre assi per treni passeggeri veloci e meno veloci, per treni merci lunghissimi e di minima composizione, per manovre leggere e pesanti, per treni di montagna e di pianura, per stabilire o battere record, insomma, per tutto. La tabella qui sotto, più stringata della precedente, non tragga in inganno: la maggior parte delle locomotive a vapore costruite nella lunga storia della ferrovia ricade in questo raggruppamento.

Una delle duecentocinquantacinque locomotive USRA 0-6-0, macchine da manovra di grande diffusione negli Stati Uniti e impiegate da ben ventidue diverse compagnie ferroviarie. Qui la vediamo nei colori della Chicago, Burlington and Quincy Railroad. La USRA fu la effimera amministrazione a controllo federale delle imprese ferroviarie americane che, nel corso della sua breve esistenza dal 1917 al 1920, cercò di stabilire degli standard costruttivi per un parco rotabili il più omogeneo possibile. Foto Archivio ACME.

Non c’è naturalmente tre senza quattro. La prima locomotiva in servizio con rodiggio 0-8-0, seguendo la notazione Whyte, era una macchina del 1844 della Baltimore & Ohio RR. Questa soluzione, nata per esprimere più potenza a parità di peso assiale, non permetteva però di accoppiare assi se non di piccolo o medio diametro, per evidenti limiti di lunghezza del carro che non poteva essere troppo lontana da quella di boiler più cabina. Macchine velociste, ossia con ruote molto grandi, avrebbero peraltro richiesto dimensioni e peso tali da creare problemi assai severi all’armamento, con particolare riferimento agli scambi e ai loro aghi mobili. Con il miglioramento della qualità dei binari si poterono costruire macchine più grandi e pesanti a quattro assi, che dettero origine in alcuni casi a delle locomotive di estrema eleganza. Le più conosciute tra queste sono le Mikado, con il loro rodiggio 2-8-2, una delle quali era italiana, e non a caso è ritenuta da tanti la più bella locomotiva delle FS: la Gr. 746.

La 746 033 a Siracusa nel periodo siciliano di queste imponenti, per gli standard FS, locomotive. Foto Archivio ACME.


Il rodiggio a quattro assi accoppiati più diffuso in Europa è tuttavia, proprio per le considerazioni fatte più su, il Consolidation 2-8-0, quello delle ubique FS Gr.740 e 735 e delle ex USATC 736, tra i moltissimi esempi.

Le Consolidation 8F della britannica LMS, progettate da William Stainer negli anni Trenta, costituirono il modello per le famose Austerity del War Department, locomotive che prestarono servizio in mezzo mondo dopo il secondo conflitto mondiale. Quindici esemplari, appartenenti verosimilmente a due sottoserie diverse, arrivarono anche da noi a seguito dell’Ottava armata britannica nel 1944 e furono poi incorporate nel parco FS come Gr. 737. Qui la 8510 nello stabilimento di Doncaster negli anni Quaranta. Foto Doncaster Works, Archivio ACME.

Il novero, infine, delle locomotive a più di quattro assi, ovvero da cinque in su, comprende alcune macchine tra le più affascinanti in assoluto. Il vero, grande limite della ferrovia non è niente altro che il rovescio della medaglia del suo più grande vantaggio, ossia il poco attrito tra ruota e rotaia. Se questo, infatti, permette di spostare enormi carichi applicando forze relativamente modeste, d’altro canto non agevola lo spunto alla partenza: intuitivamente, pertanto, più assi accoppiati significano più punti di contatto tra rotaia e ruote motrici, e quindi più aderenza.

Il discorso fatto per le macchine a quatto assi valeva ancor più quando questi erano cinque, ovvero la costrizione ad adoperare ruote dal diametro limitato. Nate per prestazioni di grosso cabotaggio e per le linee di valico, trovarono particolare diffusione in quei paesi dove la sagoma limite permetteva loro di assumere proporzioni imponenti, come per esempio negli Stati Uniti, in Germania e in Unione Sovietica. Ne abbiamo avute anche in Italia, con le sobrie Gr. 471 e con le Gr. 480, e con altre provenienti dal parco delle nazioni sconfitte nella Grande Guerra.

La 524.048 delle ČSD, già 80.989 delle austriache kkStB. Di questa locomotiva e delle sue consorelle giunte in Italia abbiamo parlato in un altro articolo. Foto Jaroslav Kocourek.

Tedeschi e americani si spinsero fino al sesto asse accoppiato, come sulla massiccia K delle ferrovie del Württemberg e sulle 9000 della Union Pacific, tacendo della straordinaria e sfortunata 100.01 delle austriache k.k.ST.B. I russi, poi, riuscirono a sfondare anche questo muro con la AA20, famigerato tentativo del 1934, che resta l’unico esempio di locomotiva a vapore con sette assi accoppiati. Inutile dire che fu un fiasco colossale ma di questo, di altri insuccessi e per contro delle mille glorie delle locomotive a vapore tratteremo nelle prossime puntate. A fra una settimana con la seconda.

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