Andare, riparare, lavorare

Le ricostruzioni post belliche, parte prima: Terni

NEL 1945, ALLA FINE delle ostilità, l’Italia era in ginocchio, poverissima, con le sue infrastrutture e le sue industrie distrutte o paralizzate. Nei primi giorni della pace, proprio come alla fine di una ancorché tragica sagra di piazza, si cominciò a mettere in ordine e a raccattare dove possibile le risorse per ripartire. Il Paese era stato un campo di battaglia per due anni: l’industria italiana, pazientemente messa su nei decenni precedenti, ne aveva sofferto pesantissime conseguenze, con i suoi impianti resi inutilizzabili ove non completamente distrutti, e il riattivarli non sarebbe stato un lavoro facile. Quantunque molto diversa tra nord e centro-sud, la situazione delle principali imprese industriali del paese soffriva della distruzione delle centrali elettriche, e in particolare le attività della siderurgia e della parallela industria elettrochimica erano del tutto immobilizzate. Per la grande acciaieria Terni, polo tra i più importanti del Paese, inglobata dagli anni 30 dall’IRI e pertanto sotto controllo statale, furono anni cruciali: i bombardamenti alleati del 1943 e la caduta delle necessità militari che avevano costituito il grosso delle sue commesse l’avevano colpita duramente.

Terni sotto le bombe degli Alleati nel 1943 o 1944. In alto a sinistra le acciaierie. Si ringrazia umbriasud.com

Nel tardo 1944, pur di riprendere la produzione, a un difficile pieno ripristino degli impianti venne preferito il differenziare temporaneamente le attività seguendo le necessità del momento, tra le quali era preminente la riattivazione del sistema dei trasporti. La ferrovia, inutile dirlo, era tra le prime se non la prima cosa da rimettere in piedi: senza ferrovia non sarebbero stati possibili gli scambi commerciali, e senza questi non si sarebbero create le condizioni per assicurare la sussistenza alla popolazione. La situazione era drammatica: oltre a lasciarsi dietro la distruzione di migliaia di chilometri di linee e di centinaia e centinaia di opere d’arte, la guerra aveva ferito a morte una grande quantità di carri merci, bruciandone le foderine in legno e contorcendone le strutture e i telai metallici. L’estrema urgenza di disporre di veicoli atti al servizio fece sì che l’industria, anche quella nata per scopi più importanti, dedicasse le sue prime attenzioni alla ricostruzione dei carri e delle carrozze messi meno peggio.

Sui tronchini della Terni così, dove una volta erano in coda i carri merci carichi dei manufatti in uscita se ne accalcavano ora altri vuoti, danneggiati dai belligeranti e bisognosi di riparazione. Ove possibile a questi furono ridate le fattezze originali, ma in caso di mutilazioni più gravi vennero fuori dalle officine dei mezzi assai rimaneggiati, e in alcuni casi dei veri e propri Frankenstein su ruote. Eccone alcuni esempi.

Il carro L 405 129, all’epoca marcato ancora Lc, faceva parte della grande ordinazione del 1940. Era interamente in metallo, con le testate munite di portelli di scarico, tuttavia all’epoca ancora non funzionanti. Probabilmente danneggiato da proiettili e schegge di artiglieria, è qui ritratto prima e dopo il suo trattamento. Le mille tracce delle martellate degli operai battilastra sembrano essere un ulteriore segno della ripresa in economia del lavoro delle officine.

Il povero carro F 1 006 435 faceva invece parte dello sterminato gruppo dei chiusi detti tipo 1925, che si distinguevano dai precedenti per la disposizione delle foderine in legno verticali e non più orizzontali. A novembre del 1945 era in queste condizioni: Mesi dopo, nel marzo 1946, lo vediamo in perfetta forma e anzi aggiornato con le pareti metalliche, tipiche delle generazioni dei carri chiusi delle generazioni a partire dal 1937. È il primo degli ibridi in questa rassegna. Curioso notare che la garitta, verosimilmente perché non danneggiata, era rimasta quella originale in legno.

Qui sotto vediamo invece il carro L 479 313, uno degli oltre 14000 esemplari del grande gruppo costruito negli anni dal 1910 al 1918. Erano mezzi di base, con telaio metallico e cassa in legno, soluzione costruttiva tipica dell’epoca, e non avevano impianto frenante. Alla Terni avevano ripristinato in lamiera anche le sue sponde: come meravigliarsi, eravamo in una acciaieria.

Interessante notare che con l’assottigliamento delle pareti dovuto al cambio di materiale si erano modificate, seppur lievemente, superficie di carico e tara: dal confronto con il suo gemello 482 784 si evince che la cura a base di ferro aveva fatto guadagnare 2000 cm², un’inezia appena calcolabile, in compenso però il carro aveva perso 60 chili. Dietologi e nutrizionisti prendano nota.

Non poteva mancare in questa breve panoramica un carro di origine estera, in questo caso uno dei tantissimi ex ungheresi circolanti all’epoca sui nostri binari. Costruito nel 1897 e immatricolato JK 269786 presso le MÁV fu incorporato nelle FS dopo la Grande guerra e marcato L 7 401 505. Nel 1945 montava ancora le boccole d’origine e i caratteristici respingenti austroungarici con custodia a quattro spicchi. La presenza di tutte le marcature leggibili sul telaio fa pensare che una volta danneggiato e immobilizzato fosse stato depredato delle foderine, utilizzate probabilmente per farne legna da ardere.

Qualche mese dopo eccolo rimesso in sesto. Una sola delle boccole ungheresi, azzoppata, era stata sostituita senza farsi troppe fisime con una 30 o 40 FS; le sponde ricostruite in metallo, viste raramente sui carri ex bello, avevano abbassato anche qui la tara da 6470 a 6970 kg.

Questa parte della storia delle Officine Terni, per noi amanti del treno, si ferma qui. Lavorare per il recupero dei mezzi della ferrovia, tema principale di questo articolo, non riguardò che in parte l’attività dell’azienda nell’immediato dopoguerra: in quegli anni nei suoi capannoni vennero infatti rimessi in sesto anche e soprattutto dozzine e dozzine di macchinari e apparati, non ultime le componenti delle centrali elettriche al servizio dei suoi impianti, parti della storia della città di Terni, delle regioni circostanti e dell’intera economia industriale italiana.

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